Così muore l’Università al Sud

I Rettori non ci stanno al declino delle Università. E sfidano il governo. Con due lettere firmate dal presidente della Crui, Stefano Paleari, la Conferenza dei Rettori prova a stanare il premier Matteo Renzi sul tema del « welfare dello studente» e il ministro Stefania Giannini sulla regola dei «punti organico». Due aspetti che riguardano tutti gli Atenei ma che stanno particolarmente a cuore a quelli del Mezzogiorno. E qui infatti che si assiste al simultaneo calo di studenti e di docenti, in una sorta di avvitamento aggravato dalla crisi e da regole che non misurano il merito bensì il reddito. E quindi danneggiano sistematicamente il Sud. A firmare le due lettere è Paleari, ingegnere milanese, Rettore a Bergamo, il quale da presidente Crui persegue una linea di equilibrio territoriale e opera per evitare di esacerbare scontri Nord-Sud e quindi anche per superare gli attuali scompensi, che invece vedono danneggiati gli atenei meridionali, non per una verifica di qualità (che pure va fatta) ma per l’utilizzo di algoritmi che danneggiano una università per il solo fatto che opera in un contesto economicamente difficile. Paleari, nella lettera a Renzi consegnata questa settimana, dal titolo «per un’Università più giovane e più europea», segnala sei punti che «possono rappresentare un nuovo inizio e un impegno comune». Nelle proposte si fa riferimento a un rinnovato welfare degli studenti, con il varo di «un nuovo diritto allo studio che permetta l’accesso di più studenti nelle Università, con particolare riferimento alle aree più deboli del Paese». La Banca d’Italia ha evidenziato come tra gli studenti del Sud si assista a un calo di iscrizioni alle università, sia locali sia nazionali, calo che diventa un tracollo tra le fasce sociali meno agiate. Nello stesso tempo, Paleari si è rivolto con un’altra lettera alla Giannini per chiedere di modificare i criteri di riparto dei punti organico, che rischiano nel 2015 di replicare le sperequazioni del 2013 e del 2014. La proposta dei Rettori è di introdurre dei tetti minimi e massimi in modo che il valore di turnover riconosciuto a ciascun ateneo non si possa discostare molto dall’indice medio nazionale, che quest’anno come nel precedente è del 50%. Nel 2014 quel 50% si è tradotto nel 528% a Catanzaro, nel 427% al Sant’Anna di Pisa e nel 427% a Roma Foro Italico mentre è stato del 33% alla Sapienza, del 28% alla Federico II e del 20% in cinque atenei: Sun, Siena, Bari, Palermo e Messina. Quindi in media in Italia viene sostituito un professore ogni due che vanno in pensione; ma con le regole attuali se vanno via due docenti a Napoli è possibile che l’assunzione sia fatta a… Pisa. Se ciò fosse il risultato di rigide verifiche di efficienza in grado di premiare chi fa meglio e di punire gli altri, saremmo di fronte alla sempre auspicata meritocrazia. Invece nei «punti organico» quel che conta è un indicatore chiamato Isef che «premia» l’importo delle tasse universitarie. Cioè strizza l’occhio al reddito medio di un territorio e punisce le Università che cercano di garantire il diritto allo studio con rette più abbordabili. Insomma le Università del Sud, come mostra la tabella in pagina elaborata dal Mattino su dati ufficiali del Miur, sono sia sistematicamente sottofinanziate, sia penalizzate dai tetti al turnover. L’analisi è fecalizzata sui 25 maggiori atenei italiani, nove del Mezzogiorno e sedici del resto d’Italia, per un totale di 714mila studenti in corso. Nel 2014per la prima volta è stato calcolato il «costo standard» di ciascuno studente, tenendo conto della tipologia di corsi offerti. Tale costo va da un minimo di 5.239 euro a Roma Tre a un massimo di 7.555 euro al Politecnico di Torino. Per la ripartizione delFfo2014(Fondo di finanziamento ordinario) sì è utilizzato solo per un quinto il criterio del costo standard. Se tutto il finanziamento fosse assegnato con tale criterio la Federico II avrebbe dovuto ricevere 337 milioni, ovvero quasi quanto i 342 dell’Ateneo di Bologna, mentre con il riparto effettivo quella differenza minima di 5 milioni sale a 50 milioni. E non è tutto: se si tiene conto del diverso reddito delle famiglie degli studenti, si comprende come Bologna riesca a incassare 112 milioni dalle rette mentre la Federico ÏÏ si ferma a quota 64. E così il divario di risorse a disposizione peri due atenei simili di Bologna e Napoli sale di altri 58 milioni fino a 108 milioni. Con la componente di finanziamento pubblico che non contribuisce ad attenuare le differenze territoriali ma anzi le fa esplodere. Fino ad arrivare alla regola del turnover modulato in base alle entrate, per cui anche quando sono rispettati tutti i parametri di equilibrio economico, ci si ritrova una minore possibilità di assumere (i cosiddetti «punti organico»). Per restare al paragone tra Bologna e Napoli, la prima ha registrato in due anni 199 uscite e si è vista riconoscere 96 ingressi con un turnover del 48% mentre la Federico II a fronte di 244 uscite ha visto autorizzati appena 38 ingressi con un turnover del 15,6%. Passando dal singolo esempio all’insieme dei 25 atenei, si evidenzia che il finanziamento pubblico copre solo il 94% dei costi standard al Sud contro il 98% al Nord. E che quei quattro punti di distanza salgono a 13 punti se si tiene conto delle rette pagate dagli studenti. Le minori risorse a disposizione si traducono matematicamente in un turnover più basso: 18% scarso al Sud contro 39% abbondante al Nord. Meno redditi, meno fondi pubblici, meno docenti e più migrazione di studenti e professori dal Sud al Nord. Ecco cosa sta accadendo nell’unico settore nel quale il Mezzogiorno, nella sua storia antica e recente, non si era mai dovuto sentire indietro: la materia grigia.
(fonte: Il Mattino)